giovedì 12 ottobre 2006

La finta perfezione

Il gusto del realismo nelle minis, ma quello vero, quello sporco, è per me un gusto acquisito. Qualcosa che, come il jazz, va coltivato e viene naturale solo dopo un po' di consuetudine. Perché la prima cosa che i miei occhi cercano, e vogliono, è la perfezione, la pulizia, l'assenza di difetti e irregolarità - forse per riposarsi dalle brutture del mondo reale. Ma questo tipo di perfezione è finto, è la perfezione della frutta che non sa di nulla, delle case fotografate sulle riviste d'arredamento in cui vivere, all'atto pratico, risulterebbe impossibile. La vita, quando arriva, sporca usura sciupa consuma. Modifica. Quindi delle minis veramente realistiche dovrebbero mostrarsi sporche, usurate, sciupate, consumate (senza esagerare, ovviamente). Di fronte a una patina di vissuto applicata con cura, il contrasto con una perfezione eccessiva appare subito evidente. E' come mettere la vita a confronto con i libri di favole.

Detto questo, sono io la prima ad ammettere che la pulizia e la regolarità sono ennemila volte più semplici da ottenere che l'effetto vissuto. Nel cibo, per esempio, tutto ciò che ha una forma irregolare è difficilissimo da riprodurre con realismo: e quasi tutto ciò che è cotto o cucinato assume una forma irregolare. Pensate a una falda di peperone arrosto. A una fetta di pomodoro con gli orli un po' bruciacchiati. Un fungo ripieno. I cubetti di carne dello spezzatino. Gli spicchi di mela sulla superficie della torta. Il bordo dell'uovo al tegamino. Le zucchine trifolate, le melanzane grigliate, le patate al forno - potrei andare avanti per pagine intere; per non parlare poi dei colori, di come cambiano, si smorzano, appassiscono. Li guardo avidamente, questi meravigliosi esempi di vissuto, cercando di scoprire che cosa li caratterizza di più, per tentare poi di riprodurlo in piccolo, ma è una faticaccia. Li guardo ma non trattengo, le irregolarità non mi restano negli occhi, tanto che riprodurle a memoria è impossibile: ma anche avendo davanti una foto, o la cosa stessa, è come se la vista ricostituisse inconsciamente quella compattezza, quella regolarità che la cottura ha portato via. E copiare, che sembra la cosa più ovvia del mondo, diventa così difficile da sfiorare la frustrazione.

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